
Soprannomi giapponesi maschili
I soprannomi giapponesi maschili non hanno bisogno di alzare la voce. A volte bastano tre sillabe per dire “sei importante”, senza dirlo davvero. In Giappone, anche il modo in cui chiami qualcuno è un gesto preciso, misurato, intimo. Per questo ogni nome suona come una carezza, o come un segno di rispetto.
Con alcuni ragazzi, l’unico modo per farli sciogliere è chiamarli per come non si aspettano. Come succede con certi soprannomi napoletani: duri fuori, teneri dentro. E allora anche “Haru” può diventare più affilato di “Amore”, se lo dici nel momento giusto.
Soprannomi giapponesi maschili
Haru
Ren
Kaito
Takeshi
Riku
Souta
Takumi
Daiki
Shiro
Kenta
Hikaru
Ryo
Kazuki
Yuto
Shun
Itsuki
Sora
Akira
Yuki
Masaru
Rikuo
Makoto
Ryota
Naoki
Kazuya
Jiro
Masashi
Tomo
Shinji
Genji
Hiroshi
Yoji
Noboru
Ichiro
Kouji
Kazuma
Kyo
Shige
Ayato
Yuji
Masaki
Shingo
Minato
Kei
Rintaro
Ryuu
Naoya
Hayate
Taichi
Soutarou
Yamato
Tetsuya
Rai
Kojiro
Kyohei
Yoshi
Tsukasa
Kazunari
Kouta
Minoru
Seiji
Kazu
Tooru
Takeru
Atsushi
Kenshin
Shiro-chan
Kazu-kun
Ryo-pi
Yu-chan
Hiro-kun
Gen-kun
Koji-pi
Shun-kun
Ren-tan
Haru-bou
Kaito-pi
Rin-kun
Yuto-chan
Akira-pi
Taichi-kun
Kyo-bou
Yo-yo
Souta-kun
Makoto-san
Daiki-bou
Kenta-pi
Shinji-chan
Naoki-kun
Yuji-san
Minato-pi
Hayate-bou
Yamato-kun
Masaki-tan
Ryota-kun
Tooru-chan
Kenshin-san
Kei-kun
Ichiro-pi
Masaru-kun
Riku-chan
Soutarou-pi
Ryuu-bou
Takumi-pi
Kazuma-chan
Takeshi-san
Shingo-kun
Tsukasa-bou
Rintaro-kun
Ayato-pi
Genji-kun
Yoji-tan
Yoshi-kun
Kazunari-san
Kazu-pi
Nao-chan
Seiji-kun
Minoru-pi
Kojiro-bou
Yuki-chan
Akira-san
Masashi-kun
Kouji-pi
Tomo-chan
Noboru-san
Kyohei-pi
Shige-kun
Masaru-bou
Shiro-pi
Kazuya-kun
Takeru-pi
Kouta-chan
Yuto-ne
Shun-san
Ren-pi
Hikaru-kun
Ryo-ne
Ci sono nomi che sembrano silenziosi, ma dentro hanno un rumore che riconosci solo tu. I soprannomi giapponesi maschili sono così. Non fanno scena, non cercano di stupire. Ti scivolano dentro piano. E poi restano. Come un’eco gentile, come una carezza che non avevi chiesto.
C’era un ragazzo che chiamavo “Ren”. Tutti lo chiamavano in mille modi, io no. Io usavo quello. E anche se non significava nulla di speciale per gli altri, per noi bastava. Perché ogni volta che lo dicevo, sembrava che ci capissimo senza parlare.
Alcuni nomi sembrano scelti per bellezza. Come i soprannomi fighissimi, che ti fanno pensare a uno stile, a un carattere. Ma poi scopri che anche un nome breve come “Haru” può essere potente. Dipende da chi lo riceve. E da chi lo dice.
E poi ci sono quelli che suonano strani all’inizio. Come certi soprannomi per Francesco, che sembrano troppo seri per funzionare… finché non diventano un’abitudine. Finché non ti accorgi che lo chiami così anche quando sei arrabbiato. Anche quando ti manca.
Ogni cultura ha i suoi modi per dire “ti tengo vicino”. I giapponesi lo fanno con rispetto. Ma anche con dolcezza. Un po’ come nei soprannomi francesi, dove ogni suono è una carezza. O nei soprannomi napoletani, dove ogni nomignolo è una piccola dichiarazione d’amore camuffata da insulto.
A volte lo chiamavo “Riku-pi”, solo per farlo sorridere. Lui mi rispondeva “sei scema”. Ma lo diceva con gli occhi pieni. E tanto bastava.
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